domingo, 17 de abril de 2011

Il Bang - Museo Ebraico a Berlino, Daniel Libeskind (1989-99)

Possiamo situare l’inizio dell’architettura così chiamata “decostruttivista” con la esposizione del 1988 a New York, precisamente nominata come “Deconstructivist Architecture”, e proposta sul precedente della esposizione di 1932 anche al MOMA di New York chiamata “The International Style”, di come si vede, quasi sesanta anni prima. Questa esposizione si serve sia della sua posizione privilegiata all’interno dei sistemi mediatici, come della stanchezza degli argomenti architettonici dell’epoca, per diventare un mito ed dare un giro di 180º agli orentamenti architettonici dominanti.

Questa mostra si sviluppa in torno a otto personalità: Peter Eisenman, Zaha Hadid, Frank Gehry, Himmelb(l)au, la squadra formata per Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzer, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e per ultimo Rem Koolhaas. Il suo grande successo non si espiega soltanto con queste presenze magnifiche, ma sopratutto con l’invenzione dell proprio nome “decostruzione”, termine ereditato della base filosofica di Jean Derrida, basate nell Post-strutturalismo, cioè nella introduzione nei temi convenzionali di nuove chiavi di lettura. Un esempio architettonico applicato a questo proceso potrebbe essere quello della Casa a Santa Monica, di Frank Gehry.
Ma tral’altro non può essere ignorato il accativante carattere formale del nuovo movimento, quello che lo fa diventare proprio uno style. Secondo Johnson, arriva proprio in un’epoca caratterizata dalla neccesità di un rinovamento delle forme per mantenere il peso dell’architettura all’interno della società. Il papa Giovanni Paolo II e la sua profonda conoscenza del comunismo, la salita al potere di Michail Gorbacëv con la conseguente evoluzione economicosociale della Russia, e soprattuto la caduta del muro di Berlino in 1989, sono simboli di questo nuovo mondo aperto e rinovato, che bisogna nuove forme identificative.
Secondo il sociologo americano Alvin Toffner, abiamo entrato in questo modo in quello che lui chiama “La Terza Ondata”, cioè, una nuova era basata non nella terra ne nell’industria come base delle actività economiche, ma semplicemente basata sulla informacione. In questa maniera, mentre la architettura del novecento tentava di avvicinarsi alla macchina nella sua ossessione funzionalista, la architettura contemporanea deve avvicinarse semplicemente a una forma che “informe”.

In questo contesto arriviamo all’opera di Daniel Libeskind, creatore del progetto sotto studio. Questo architetto eccezionale tenta un’approccio all’architettura attraverso altre discipline come la pittura, la musica o la filosofia. Ed è in questo modo come lui si avvicina al nuovo movimento decostruttivista, al cui dedica grande parte della sua opera. Per la descrizione di questo edificio in particolare, prendo letteralmente le parole del professore Antonino Saggio sul Bang generatore del progetto.

“[...] Libeskind associa a questi congegni dei disegni astratti, una specie di partiture musicali che lavorano sulla forza rappresentata dalla linea. E cioè, sulla capacità di rompere, di estendersi, di non racchiudersi nei “piani” della tradizione neoplastica o puramente funzionalista, ma del muoversi della linea nello spazio schizzando, lacerando, zigzagando in uno spazio nuovo.”
“Il museo si trasforma in una linea spezzata e obliqua sul suolo che è prima compressa nel racchiudersi degli angoli e poi slanciata come una freccia aperta verso l’infinito. [...] A questa freccia si sovrappone un’altra figura rettilinea che la incrocia in più punti e la mette in ulteriore tensione.”




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